Il Santo di Padova è tra i Santi più venerati nelle terre del Mezzogiorno non è un caso che proprio il 13 giugno del 1799, festa di Sant’Antonio, l’esercito Sanfedista, guidato dal Cardinale Fabrizio Ruffo, liberava Napoli e l’intero Regno dal dispotismo giacobino. Il 13 giugno fu festa di precetto per il Regno delle Due Sicilie fino al 1860. Infine il principale simbolo di Sant’Antonio è il giglio bianco che è anche presente nel numero di tre, in campo azzurro, nella parte centrale dello scudo dello stemma della Real Casa di Borbone Due Sicilie. Ma proprio a Lamezia Terme il legame della città al suo Santo si unisce alla storia della Real Casa di Borbone. La presenza dei Frati Minori Cappuccini a Nicastro (oggi Lamezia Terme) risale al 1540 chiamati nel proprio feudo dai Caracciolo che finanziarono in parte la costruzione del convento e relativa chiesa (sui ruderi di quella appartenuta alla Congregazione dei Bianchi).
Nel 1638, precisamente il 27 marzo, un terribile terremoto distrusse quasi interamente la città con i suoi importanti edifici, come il castello, causando centinaia di vittime. Ma il convento e la chiesa dei Cappuccini, pur subendo danni non crollarono ed i frati rimasero tutti illesi. Tale incolumità fu attribuita dal popolo ad un miracolo di Sant’Antonio la cui immagine si venerava da tempo nella chiesa del convento. I frati subito dopo riedificarono il loro convento nel luogo dove si trova oggi con la chiesa rivolta verso la parte antica della città di Nicastro. A ricordo di questa grazia a partire dal 1706, su concessione del Vescovo di Nicastro Mons. Nicola Cirillo, ai padri Cappuccini fu permesso di poter svolgere una speciale processione proprio nel mese di marzo insieme a quella usuale di giugno. Nel 1644 il nicastrese Gregorio De Fazio commissionò un grande dipinto del Santo Padovano al pittore romano Giacomo Stefanoni. La preziosa tela fu denominata “Quadro Divino” ed ancora oggi si può ammirare nella parte sinistra della cappella di Sant’Antonio di Lamezia Terme.
Nel 1685 Padre Antonio da Olivadi commissionò a Napoli l’attuale statua del Santo e per facilitare l’accesso dei pellegrini al convento, fece costruire un ponte in muratura, sul torrente Canne, sormontato da un arco sulla cui sommità fu posta una statua in pietra del Santo rivolta verso Nicastro. Una scena di miracolo di Sant’Antonio si trova a destra del coro della chiesa, si tratta di un affresco del 1703 a devozione del nobile Lupo d’Ippolito. La chiesa gode di una serie di Privilegi e Riconoscimenti da farla un vero e proprio unicum in Calabria. Da una lapide del 1740 posta nella cappella di Sant’Antonio apprendiamo che il re Carlo II di Spagna emise il primo decreto con cui l’altare del Santo veniva dichiarato Reale.
L’imperatore Carlo VI, su interessamento del Frate Antonio da Olivadi, con reale Cedola del 20 agosto 1718 concesse l’istituzione di una fiera, franca da ogni dazio, in occasione della festa principale del Santo. Carlo III di Borbone con diploma del 1739 proclamò la Cappella di Sant’Antonio “Cappella Reale” con tutti gli onori, le preminenze, le prerogative, le immunità delle cappelle reali del regno, assoggettandola nello spirituale al cappellano Maggiore del re, e in quanto al temporale, alla real giurisdizione. Con Decreto della Regia Camera della Sommaria, emesso a Napoli il 4 maggio 1759 (documento conservato presso l’Archivio Provinciale dei Cappuccini), si vietava a chiunque di intromettersi nelle cose temporali che riguardavano la Cappella di Sant’Antonio di Padova, sita nella chiesa dei Cappuccini di Nicastro.
Nel convento sono inoltre conservati i ritratti, olio su tela, di Carlo III e Maria Amalia Walburg ed altra pregevole tela con lo stemma dei reali di Napoli sormontato dall’immagine del Santo.
Sono custoditi inoltre un reliquiario contenente un ossicino del capo di Sant’Antonio dono dell’abate Antonio De Gellis nel 1707, l’Aureola d’oro donata nel 1929 dal barone Vincenzo Nicotera Severisio.
Nel mese di giugno di svolge a Lamezia Terme la tradizionale “Tredicina” che consiste in 13 giorni di messe ( ogni giorno vengono celebrate diverse messe, sempre affollate, dalle ore sei del mattino fino alla sera) che culminano il 14 con la processione del Santo per le vie della città. Da ricordare che il Santo non è Patrono della città ma ne è il suo Protettore, ma la devozione del popolo è così forte ed antica da farsi che le festività in onore del Santo siano molto più fastose ed importanti dei Santi Patroni Pietro e Paolo. Per antica tradizione le famiglie esponevano ed espongono, all’esterno della propria casa, un quadro con l’effigie di Sant’Antonio accendendo ogni sera una lampadina in più sulla cornice del quadro come conta dei tredici giorni. La mattina del 12 giugno si svolge l’omaggio della città al Santo, anche questa una tradizione che risale ai primi anni del ‘700 e che non si è mai interrotta. Il sindaco in carica e la giunta in corteo portano in chiesa un grande cero votivo. Una volta entrato in chiesa il sindaco pronuncia queste parole: “Gloriosissimo Santo dei Miracoli, Antonio di Padova, io N.N. Sindaco di questa città, prostrato dinanzi alla Vostra immagine, a nome mio e di tutto il popolo vengo ad offrire questo Cero in segno di ossequio tributo e grata venerazione (…)”. Il Padre Superiore risponde con la seguente formula: “Confidiamo nella valida protezione del nostro glorioso Taumaturgo, Antonio da Padova, per mezzo del quale la Bontà Divina ha concesso e continua a concedere i favori più segnalati alla vostra nobilissima città”. I festeggiamenti terminano il 14 giugno con la solenne processione che chiude il ciclo delle festività. Durante tutte le messe si intona una antica canzoncina popolare che recita: “Tredici stelle formano una corona, Antonio è Patrono di questa città, Antonio è Patrono di questa città”.
La processione di Lamezia risale addirittura già al 1685, tempo in cui la statua del Santo veniva già vestita con l’abito dei Cappuccini. La statua del santo esce dalla chiesa, preceduta dalla scoppio di fuochi, il pomeriggio alle ore 17 e viene portata a spalla dagli “statuari”, privilegio che viene tramandato da padre in figlio e si concede ad altri solo per particolari e comprovati motivi. Molte persone, di Lamezia Terme e non, per voto e devozione ancora oggi indossano il saio durante tutti i giorni della Tredicina, mentre fino a qualche anno fa era possibile vedere devoti recarsi scalzi al convento o trascinarsi con le ginocchia a terra dalla porta della chiesa sino ai piedi dell’altare del santo.