Perché la tua cravatta è differente da un’altra? “Perché viene fatta con passione, la nostra…e la mia passione“. Queste le parole di Annalisa Calabrese che alla mia domanda sfodera quel sorriso e pacatezza che è il marchio di chi è sicuro di quello che dice e quel che fa.
Quest’amore, e la grande signorilità che contraddistingue questa donna, la rende un fiore all’occhiello nel settore della sartoria di quella Napoli che rappresenta, ancora oggi, un raggio di luce nel mondo dell’eleganza. Niente di scontato in un settore dove cafoni e parveneu sono sempre dietro l’angolo.
Benvenuti al cravattificio Calabrese dal 1924…una storia da raccontare e da far conoscere. Insieme ad Annalisa nel laboratorio di Napoli c’è anche il padre Gaetano. Padre e figlia, terza e quarta generazione uniti da “un pezzo di stoffa”.
Tutto ha inizio negli anni ’20 del secolo scorso con Eugenio Calabrese, cultore del ben vestire, della sartoria, del bel mondo napoletano e…delle cravatte! In famiglia si tramanda che ne possedesse una grande raccolta, più di cento! Seppure molto giovane, ancora studente, decise di mettere su un laboratorio di cravatte. Assunse delle operaie ed iniziò a realizzare una piccola collezione…ed una storia. Era un uomo affascinante e pieno di charme e pian piano iniziò a farsi conoscere ed a distribuire il suo prodotto in Italia e poi in Europa. Per un brevissimo periodo fu affiancato dal fratello Antonio. “Non sappiamo che tipo di etichetta utilizzasse e ne il nome, poiché a Noi purtroppo non ci è pervenuto niente. Inoltre una parte dell’archivio aziendale è andato perso a seguito di un allagamento“.
Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale la fabbrica fu dismessa. Fu Francesco Calabrese nel dopoguerra ad affrontare una nuova sfida: riprendere in mano l’eredità paterna. La prima difficoltà, per la ripresa della produzione, fu il reperire la materia prima: la seta. Una ricerca difficile che alla fine lo portò a conoscere un grossista napoletano che riuscì a fornirgli unicamente dei tessuti per confezionare abiti da bambini: colori chiari, fiorellini, stampe, micro fantasie. Partì con questi per dare continuità a quella tradizione che non doveva e non poteva morire.
Intorno agli anni ’60 ormai aveva raggiunto un grande successo con le sue cravatte dall’etichetta: F. Calabrese”. All’epoca era uno dei cravattifici più antichi, nonché tra i pochi in Europa, vantando clienti sparsi in tutto il vecchio continente. Fu contattato addirittura da Maxim per fare una linea di cravatte ma non accettò. La grande richiesta della cravatta “F. Calabrese” gli permise di non accettare la façon per conto terzi. Giungono anche i clienti oltreoceano: canadesi e sudamericani. Gli anni trascorrono e le generazioni si rinnovano e la storia continua con Gaetano Calabrese. Fin da bambino, a 10 anni, seguiva già il padre in fabbrica. Anche lui ha la cravatta nel sangue: “la cravatta è come l’umore quotidiano di una persona, se mi sento allegro mi metto una cravatta vistosa, se mi sento triste ne scelgo una dai colori più scuri. Il mondo della cravatta è cambiato oggi, un tempo c’era più eleganza“.
Nel ’91 subentra la quarta generazione, Annalisa Calabrese, appassionata e cresciuta da piccola in questo ambiente: “dopo la scuola anziché andare a giocare con gli amici preferivo recarmi in laboratorio ed osservare le varie fasi della produzione. Ero affascinata in particolare dalla fase del controllo e della imbustatura”. I tempi cambiano, il passato è importante ma il presente lancia nuove sfide ed Annalisa decide di prendere in mano le redini dell’azienda e dare un restyling. Nasce “Calabrese 1924”. Un heritage da preservare e custodire, ciò che fa la differenza.
Cos’è per te la cravatta? “E’ famiglia. Durante le feste in casa si parlava sempre dei tessuti, delle cravatte, dei clienti. Quindi è un ricordo legato ai miei cari“.
Il processo di produzione di Calabrese 1924 è tutto italiano, anzi napoletano, anche i tessuti sono tutti italiani. E’ pur vero che l’Inghilterra ha una tradizione per i tessuti “ma col tempo abbiamo fatto una scelta: acquistare tutto in Italia. Un’azienda italiana che utilizzata tessuti rigorosamente italiani, un made in Italy al 100%“.
Cosa un uomo non dovrebbe mai indossare? “Calzino bianco“.
Cosa un uomo dovrebbe portare con se in viaggio? “La cravatta. Un uomo con la cravatta per me è un uomo ben vestito. La pochette è un particolare che differenzia lo stile della persona. Mentre per un verso la cravatta rispecchia la personalità di chi la indossa, la pochette è qualcosa in più che va oltre, è un vezzo. La pochette non va mai abbinata alla cravatta. I completi sono posticci. Il buon gusto per me è saper abbinare le cose differenti tra di loro. Il coordinato in sartoria non esiste. La sartoria vuol dire esprimere se stessi”.
La cravatta Calabrese viene venduta oggi ovunque Giappone, Belgio, Francia, Spagna, Italia, Brasile, Inghilterra.
Hai dei clienti famosi? “Forse si, ma non lo direi mai, per me ogni cliente è importante“.
Cos’è per te l’eleganza? “La classe innata di una persona. Non si acquisisce“.
Qualche cliente ha mai fatto una richiesta particolare di produzione? “Per essere precisi più che richieste strane ci terrei a sottolineare la cattiva informazione sul mondo della cravatteria. Ci sono molto aziende che vendono cravatte, non producendole, ed avanzano richieste che evidenziano la mancanza di cultura in merito. Ad esempio richieste di una cravatta di 12 o 15 pieghe che non può esistere, perché invece di una cravatta verrebbe fuori una fisarmonica“.
La cravatta Calabrese ha qualche particolarità? “Alla fine degli anni ’60 mio nonno portò una svolta su quella che è la costruzione attuale della cravatta. Se prendiamo delle cravatte vintage notiamo che la fodera veniva cucita lungo il perimetro della punta della cravatta. Questa cosa a mio nonno non piaceva perché spesso la cucitura poteva intravedersi dal lato esterno, con l’aiuto di una sua dipendente, fece una serie di prove fino ad inventarsi una sorta di pence. Se giriamo la cravatta, fatta oggi, dal lato interno, noteremo che il tessuto della cravatta stessa forma una sorta di cornice. Si tratta di tre pence che furono cucite sulla cravatta proprio per dare maggiore armonia“.
Da napoletana tu porti la storia della tua città, i sapori, gli odori e i colori nella tua cravatta? “Si soprattutto negli abbinamenti dei colori. Spesso per personalizzare, per dare agli uomini qualcosa di diverso prendiamo dei disegni di archivio e li ricoloriamo in base alle tendenze de momento. E’ una cosa che mi riesce facile. Quando ero piccola spesso andavo con mio padre e mio nonno a Como, patria della seta. Quindi fin da piccola sono stata abituata a vedere tirelle, disegni, colori, abbinamenti“.
Cos’è per te la bellezza? “Avere una propria personalità, uno charme senza ostentarlo“.
Tu hai a che fare con un mondo, quello della sartoria, prettamente dominato dagli uomini, come sei vista dai tuoi colleghi? “Io ho avuto sempre più amici maschi nella mia vita, sarà anche per il mio carattere. Non ho mai subito nessun atteggiamento maschilista anzi, ho tanti amici del settore che mi stimano per il lavoro che svolgo“.
Progetti per il futuro? “Lavorare e portare il marchio sempre più in alto ed avere una tranquillità ed armonia sia lavorativa che familiare“.
Se dico Napoli? “Buongusto, armonia e …pizza“.