Storia della famiglia Statti di Lamezia Terme, la piu antica tenuta della Calabria
Per ricostruire le vicende di una famiglia occorre necessariamente ripercorrere la storia di una città attraverso i suoi secoli. E’ il caso della famiglia Statti legata alle vicende della città di Nicastro ora Lamezia Terme. Premessa: il presente articolo non vuole essere esaustivo ma rappresenta un resoconto, a grandi linee, di una lunga ricerca archivistica portata avanti per quasi due anni. La difficoltà maggiore è stata la mancanza di un archivio domestico dove poter attingere informazioni di prima mano, così come la dispersioni e distruzione di documenti archivistici avvenuta nella città di Nicastro per alterne e variegate vicende storiche.
Il 1444 segna la sconfitta del Centelles e la confisca delle sue terre, così come quelle del conte Caracciolo, ed alcune di queste, situate nel territorio di Nicastro, furono assegnate ai fratelli Stath che decisero di stabilirsi definitivamente in Calabria richiamando dall’Albania i proprio familiari. Morto Alfonso successe il figlio Ferdinando I, detto Ferrante che si trovò nuovamente a dover affrontare una nuova insurrezione capeggiata sempre dal Centelles, insieme al Caracciolo, che si concluse con una importante battaglia il 2 giugno 1459 nella piana di S. Eufemia. Anche questa volta un aiuto determinante fu offerto dai soldati albanesi, molti dei quali decisero di sistemarsi definitivamente nel territorio di Gizzeria, così come dagli Stath che ottennero incarichi amministrativi e possedimenti terrieri. Inizia così la storia terriera della Famiglia Statti che nel corso del sec. XVII prende dimora fissa nella città di Nicastro ed avvia una serie di alleanze matrimoniali con le famiglie del ceto nobile della città.
A partire dal sec. XVII la Famiglia Statti viene annoverata come tra le famiglie nobili della città di Nicastro, tanto da poter vantare il privilegio di un antenato, D. Damiano Statti, sepolto il 7 agosto del 1627 nella cripta della chiesa di San Domenico da sempre riservata prima ai conti Caracciolo e poi ai d’Aquino, accanto al Principe Rovegno di Pallagorio e a Donna Maria d’Aquino.
Un susseguirsi di discendenti che perpetuano con i lori nomi l’appartenenza ad un ceppo familiare: Teodoro, Tommaso, Damiano, Ferdinando, Gaspare, Stanislao.
Nel frattempo nella città di Nicastro accadano fatti storici rilevanti che si intrecciano con la storia della famiglia. Donna Isabella Caracciolo, che aveva sposato Don Mariano Caracciolo di Santobono, a causa delle difficoltà economiche vende nel 1607 la città a Don Carlo d’Aquino, principe di Castiglione, per la somma di ducati 33.500 ducati. Ha inizio una nuova saga che vede i d’Aquino proprietari di un feudo vastissimo, dal Savuto all’Amato, riunendo i titoli di conte di Martirano, principe di Castiglione e Feroleto e signore di Nicastro. Nel 1638 una forte scossa di terremoto distrugge quasi interamente la città ed il suo castello dove muore il principe Carlo. Da questa data il potere, ad eccezione di Don Tommaso, si tinge di rosa ed a comandare i feudi si susseguono una di donne di casa d’Aquino: Donna Laura, Donna Giovanna Battista, Cornelia ed infine Donna Vincenza Maria ultima Signora di Nicastro. Proprio le vicende di quest’ultima sono legate alla famiglia Statti.
Siamo nella seconda metà del 700’ in città la famiglia Statti era composta da Giuseppe, che si ritirò a Gizzeria per aver commesso un omicidio, Domenico, laureato in legge a Napoli nel 1730, Gennaro, sposato con Porzia Fiore, Francesco, frate domenicano, Anna, sposata con Nicola Discosi, Orsola, sposata con Vincenzo Veraldi. E’ l’abile Domenico Statti ad intessere una fitta rete di alleanze di potere divenendo addirittura Agente Generale della principessa d’Aquino, che risiedeva in quel di Napoli. Dalla stessa riceve l’oliveto Lenti, ancora oggi proprietà della famiglia e dove si sviluppa l’odierna tenuta agricola e vigneto.
A Domenico si deve anche la costruzione del Palazzo della famiglia Statti sito nel rione Santa Lucia a Lamezia Terme. Il matrimonio del fratello Gennaro con Porzia Fiore sugella la perpetuità della famiglia grazie all’elevato numero di figli nati: Maria Antonia, tenuta a battesimo dalla stessa principessa Vincenza, Giuseppe, Gaspare, Ferdinando (morto a 62 e sepolto nella chiesa dei PP. Predicatori nel sepolcro di famiglia), Damiano (laureato in legge nel 1769), Vincenzo, Rosalba (sposa Gaspare Fiore), Teodora (sposa Giuseppe Chiriaco, muore a 60 anni e sepolta in S. Domenico), Saveria (sposa Tommaso Chiriaco, muore a 90 anni), Vincenza Maria, Stanislao (sposa Rosa di Fazio), Nicola Antonio (laureato in medicina nel 1773), Tommaso.
Domenico muore nel 1782 e con il suo testamento, redatto a Platania, istituisce un maggiorascato con cui vuole assicurare alla famiglia l’integrità del vasto patrimonio di terreni e beni mobili attraverso la costituzione in fedecommesso a favore dei primogeniti maschi di casa. Il patrimonio diventa indissolubile e fedecommesso con la garanzia della sua conservazione. Il destinatario del fedecommesso gode dell’usufrutto generale dei beni con l’obbligo di conservarli per restituirli ai suoi successori. Per questi vigeva il divieto assoluto di alienazione, ipoteca, donazione, cessione e qualsiasi altra forma di suddivisione dell’asse patrimoniale, che peraltro era soggetto obbligatoriamente all’inventario. Suo erede è il fratello Gennaro poiché escluse le donne di casa, era l’unico maschio sposato.
Così scrive Don Domenico: “Primieramente prego la SS. Trinità, Padre, Figliuolo, et Spirito Santo, che per gli infiniti meriti della passione e sangue sparso da esso verbo incarnato unigenito Figliuolo Signore e Redentore nostro Gesù Cristo, si benigni perdonare li gravi peccati e colpe mie, invocando in ciò la protezione ed intercessione della B. Vergine Immaculata Maria Madre di Dio, mia Avvocata….E perché il principio e capo di qualsivoglia testamento è l’istituzione dell’Erede senza la quale, per legale disposizione, nullo dicesi essere, ed insussistente, che per ciò io D. Domenico Statti testatore istituisco, ordino, e commando, e faccio mio erede universale, e particolare il mio carissimo ed amatissimo germano fratello D. Gennaro Statti….Considerando molto bene che fatto mi si da Dio per sua clemenza nascere da famiglia chiare e nobile, e che per lunga serie di moltissimi anni s’è mantenuta con tutto il suo decoro: e considerando ancora che le ricchezze mancando alla famiglia, tutto che nobilissima sia, lo splendore va a perdersi, ragion’è che per riparare a tanto disordine, per quanto le forze umane importano, ho stabilito e voglio, per non aver io propri figli, un majorascato fondare e costituire a beneficio di detto mio dilettissimo germano e suoi figli nati e forse nascituri dal medesimo in perpetuo et mundo durante”.
Con l’occupazione del Regno di Napoli da parte dei francesi fu introdotto il codice Napoleonico nel 1809 che stabilì l’abolizione dei fedecommessi e l’uguaglianza ereditaria per tutti i figli. La Restaurazione del 1815 introdusse delle modifiche, riconoscendo la quota “legittima” da ripartire a tutti gli eredi in maniera identica senza più distinzione di sesso e di età, una quota “disponibile” e l’obbligo della collazione. Nonostante ciò, per consuetudine alle donne fu destinata la cosiddetta dote, ma non l’eredità degli immobili, oppure il versamento di una somma di denaro per evitare qualunque altra pretesa sull’eredità. Anche le donne di Casa Statti seguirono stessa regola, estromesse dagli immobili e liquidate con somme di denaro, tutto al fine di mantenere intatto il patrimonio terriero. Una logica a volte crudele ma necessaria per il mantenimento dell’unità patrimoniale. Gennaro Statti muore nel 1792 con un ricco ed articolato patrimonio, tanti figli ma come sempre tra i tanti qualcuno prende le redini e comanda. Nel nostro caso sono Damiano e Stanislao che riescono a far sposare Tommaso, il fratello minore, con Francesca Le Piane Perrone baronessa di Savuto. Nel frattempo in città si susseguono catastrofiche alluvioni e un nuovo e terribile terremoto nel 1783 che provocò la morte di oltre 29000 persone in tutta la Calabria.
Le popolazioni della regione, compresa Nicastro, sono stremate, in alcuni casi occorre ricostruire per intero le città, come l’odierna Filadelfia. Le risorse vengono individuate nei beni ecclesiastici. Si dispone l’abolizione degli enti ecclesiastici della Calabria Ultra e si ordina che tutti i religiosi siano trasferiti in altre province e le religiose inviate alle case paterne o presso famiglie agiate. Nel 1784 il re Ferdinando IV crea la Cassa Sacra, un organo governativo, con sede a Catanzaro, deputato all’amministrazione dei beni espropriati così come degli affari contenziosi in primo esame. La Cassa Sacra ha la facoltà di vendere, affittare o censire i beni dei monasteri soppressi o sospesi. I beni invenduti, inoltre, devono essere concessi in enfiteusi con l’obbligo del versamento di un corrispettivo annuo in censo liquido o in derrate. Damiano e Stanislao , che hanno a disposizione grandi somme di danaro, iniziano ad acquistare numerosi terreni che concorrono ad ingrandire il “feudo” della famiglia Statti.
Nel 1799 muore Maria Vincenza d’Aquino, ultima della sua famiglia e senza figli, 7° principessa di Castiglione, 8° principessa di San mango, Signora di Nicastro, 8° contessa di Martirano, Signora di Falerna, Motta Santa Lucia, Sambiase, Serrastretta, Turboli, Zagarise. Con Lei muore un intero mondo, le idee rivoluzionarie da qui a poco arriveranno a Napoli che sarà occupata dai francesi, Nicastro rientra nel regio demanio e termina il periodo feudale. Con la soppressione degli ordini religiosi da parte dei francesi gli Statti continuano la loro politica di espansione ed acquistano altri possedimenti ed allo stesso tempo continuano le alleanze familiari. Da Tommaso e Francesca Le Piane nascono Agnese Maria, Domenico, Gennaro che nel 1826 fa costruire l’altare di famiglia nella chiesa di S. Teodoro che così riporta: “Baro Sebastianus Ianuarius Statti Piane, Pro Sua Devotione Hoc Construere Fecit. Et Soli Deo Dicatum, su regi mes R.ndi Archidiaconi D, Dominici Mungo A.D. MDCCCXXVI”.
Gennaro muore giovane, a 30 anni, e viene sepolto nella cappella gentilizia in S. Domenico. Il figlio Ferdinando sposa la baronessa Rosina Passalacqua, figlia della baronessa Caterina Barberio, che porta in dote nella casse di famiglia 10.000 ducati. Infine Porzia Ippolita che sposa Odoardo Fiore Serra, muore a 26 anni sepolta nella chiesa dei PP. Cappuccini. In tutto l’800’ questo immenso patrimonio fondiario viene amministrato affidando piccoli appezzamenti a colonia ed enfiteusi. Ma la produzione dell’olio e del vino avveniva in cantine e frantoi propri. Nel 900’ in località Lenti viene costruito un piccolo borgo accanto all’antico casale, dove contadini e familiari vivono al suo interno, con tanto di scuola e cappella per la Santa Messa. Si succedono altre tre generazioni di Statti per giungere agli attuali esponenti della famiglia con a capo Don Ferdinando.
I figli Alberto ed Antonio Statti sono gli attuali proprietari della tenuta ed hanno avviato, da alcuni anni, una politica di modernizzazione dell’azienda agricola e vinicola. L’azienda Statti SRL si estende su una proprietà di oltre 500 ettari comprendenti 30.000 ulivi secolari, 100 ettari di vigneto, seminativo ed agrumeto. La posizione dei terreni si trova in quella parte della Calabria denominata “Terra dei due mari” o “Istmo di Catanzaro”, la parte più stretta della regione che gode di un particolare micro clima date le correnti d’aria provenienti dal mar Tirreno e mar Ionio.
Quello stesso pezzo di Calabria in cui l’esercito francese fu sconfitto degli inglesi nella nota “battaglia di S. Eufemia” per i francesi, “battaglia di Maida” per gli inglesi. Possiamo affermare con estrema schiettezza che il caso della famiglia Statti rappresenta un unicum in Calabria: una proprietà rimasta inalterata dal 700 da oggi.