“Tuo padre non ha lasciato per te ne dote ne tutore: l’arbitra della tua sorte sono io sola…le leggi divine ed umane t’impongono l’ubbidienza, e, affè di dio, tu ubbidirai!” Queste le parole della madre di Enrichetta Caracciolo, autrice de Misteri del Chiostro di Napoli, quando la madre le annuncia la sua scelta di farla entrare in convento, proprio in quello che sto per visitare: San Gregorio Armeno.
Il nome ricorda la omonima via resa celebre al mondo per i presepi. Ma c’è un gioiello dell’arte che merita di essere visitato perchè è una di quei monumenti che più rappresentano la storia di Napoli.
L’atrio della chiesa è molto buio, ma varcata la porta d’ingresso il bagliore degli ori e i colori degli affreschi lascia senza parole.
La chiesa ha una navata unica, con quattro cappelle laterali, nella quinta cappella di destra si conservano le reliquie di Santa Patrizia (traslate in chiesa solo nel 1864), considerata co-patrona della città a seguito dei miracoli noti dal sec. XII. “La Gloria di San Gregorio” è opera di Luca giordano così come dei dipinti delle pareti del coro ligneo delle monache.
Il convento di San Gregorio Armeno era destinato alle monache di clausura, la maggiorparte provenienti dalle nobili famiglie della città.
Se la chiesa desta meraviglia…imperdibile è il chiostro al quale si accede da un vicolo laterale. Varchi un cancello e sali su per 33 agevoli gradini. Il mondo dei rumori della strada sembra già un lontano ricordo. Sui lati delle pareti gli affreschi, ormai sbiaditi, di Giacomo del Po.
L’attuale forma del chiostro risale alla metà del XVI sec. quando il Concilio di Trento impose nuove regole di vita monastica. Sul chiostro si affacciano gli alloggi a terrazza delle monache, le Suore Corocifisse o di Santa Patrizia.
In origine il monastero era un agglomerato di più case, oguna dotata di più camere, cucina e cantina. Ogni monaca possedeva la sua, poteva acquistarla dal monastero o farsela costruire a sue spese. Concluso il Concilio nel 1563, fu imposta la clausura e la vita in comune. Nel 1572 fu iniziata la costruzione del nuovo monastero affidata all’architetto Vincenzo Della Monica, su richiesta della badessa Lucrezia Caracciolo, che lo completò nel 1577.
Sotto consiglio della nobile l’architetto ed ingegnere riprese il disegno del chiostro dei Santi Marcellino e Festo, scelta non solo estetica ma anche funzionale poiché entrambi i chiostri possedevano una rara qualità: quella di dominare, anche solo con lo sguardo, il paesaggio urbano e quello naturale. Cinque belvedere per rendere meno faticosa la clausura!
Al centro del chiostro si trova una monumentale fontana di marmo, di sconosciuto autore, affiancata da due statue raffiguranti la Samaritana ed il cristo, opere di Matteo Bottiglieri. Un’iscrizione ricorda che la fonte, “ricca per ameno gioco di acque, dolce spettacolo per gli occhi” fu fatta costruire dalla badessa Violante Pignatelli nel 1783, restaurata nel 1843 dalla badessa Francesca Caracciolo, “affinché alle vergini sacre a Dio non mancasse il perpetuo simbolo della evangelica purezza e della fonte divina della viva acqua“. Alberi di manadarino ed aiule di margherite per il diletto!
Accanto alla fontana c’è il pozzo che, assunse tale struttura, solo per coprire il foro dal quale fu estratto il materiale tufaceo per le ricostruzioni.
Lungo il lato del portico corrispondente la navata della chiesa, si notano alcune aperture con grate a sedili da cui le monache potevano assistere alla Messa.
Dal chiostro si accede a due cappelle, tra cui la Cappella dell’Idria, la sola testimoninanza medievale del convento, dove al centro si trova l’icona della Modanna dell’Idria ed intorno diciotto dipinti di Paolo De Matteis.
Quasi di fronte alla cappella si accede al refettorio delle monache costruito nel ‘600.
I lavori eseguiti nel 1644 sotto la direzione di Francesco Picchiatti mutarono il disegno cinquecentesco del chiostro rendendolo più piccolo; furono sistemate le quattro aiuole, che oggi concludono lo spazio quadrilatero intorno alla fontana, si tracciò l’ampia esedra decorata con stucchi, vasi e due statue in terracotta. Alzando lo sguardo si vede la cupola di embrici smaltati gialli e verdi. Nel cortile di servizio si trovavano diciassette cucine, il che fa intuire quanto le religiose tenessero ad ogni comodità.
Sulla sinistra dell’ingresso si accede al Coro delle monache e da qui al cosiddetto Corridoio delle monache, attraverso il quale le fanciulle che prendevano i voti portavano in dote opere d’arte quale segno di devozione. Gioello e chicca del complesso è il “Salottino della Badessa” in puro stile rococò, dove le Badesse, le uniche a poter violare il voto di clausura stretta, ricevevano gli ospiti.
Non vi è venuta voglia di visitarla? Vi ricordo che è aperto solo la mattina fino alle 12.