Calendula (Marigold), 2010, © Valerie Belin. Courtesy Jerome de Noirmont, Paris

Al Museo Gucci la settima mostra della Pinault CollectionThe Language of Flowers”, un richiamo a uno dei motivi più iconici della Maison Gucci: Flora.

Latifah Echakhch Photo. Fabrice Seixas. Courtesy the artist and Kamel Mennour, Paris
Curata da Martin Bethenod, direttore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana, la mostra riunisce le opere di 4 artisti, realizzate tra il 1967 e il 2012, che giocano con l’iconografia dei fiori, un soggetto più complesso di quanto possa sembrare. Benché le opere siano caratterizzate da una potente seduzione visiva (e, per una di esse, anche olfattiva), sono tutte al contempo intrise di un’ambiguità delicata e profonda.
In Calendula (Marigold), 2010 e Phlox New Hybrid (with Dahlia Redskin), 2010, Valérie Belin, fotografa francese nata nel 1964, abbina volti femminili e motivi floreali, creando una sorta di ibridi, nel senso botanico del termine, che raccontano l’ambiguità tra umanità e mondo vegetale, natura e artificio, reale e virtuale, presenza e assenza, seduzione e freddezza.
Einder, 2007-2008, di Marlene Dumas (nata in Sudafrica nel 1953) cela un malinconico segreto: questa composizione floreale che fluttua su un mare blu notte è quella che si trovava sulla bara della madre dell’artista, deceduta poco tempo prima. Dietro la sua bellezza e la delicatezza dei colori, si nascondono ricordi, dolore e lutto.
Il fulcro di Fantôme (Jasmin), 2012, di Latifa Echakhch (nata in Marocco nel 1974), è il gelsomino, o meglio le ghirlande di fiori che i venditori ambulanti offrono ai passanti nelle città mediorientali, legato ad un ricordo dell’artista: un venditore ambulante di gelsomini di Beirut che, per proteggere il profumo e la freschezza dei suoi fiori, li copriva con una camicia. Questa scultura dall’apparente fragilità evoca le rivoluzioni della primavera araba e la resistenza al caos, dove i fiori diventano una metafora politica.

Einder (Horizon), 2007_2008_Courtesy of Zeno X Gallery Antwerp_Ph Peter Cox
I due dittici del grande fotografo americano Irving Penn (1917-2009), Cottage Tulip, Sorbet, New York, 1967 e Single Oriental Poppy, 1968, sono realizzati secondo il principio dell’associazione di un’immagine in bianco e nero e della stessa immagine a colori. Questi pezzi storici mostrano entrambi, per il classicismo della composizione e per la meticolosa attenzione alla stampa (al platino per il bianco e nero e dye transfer per il colore), le dimensioni di totale controllo formale, di ricerca della perfezione assoluta e, al contempo, la consapevolezza dello scorrere del tempo e della vanità delle cose che segnano così profondamente l’opera di questo maestro della fotografia.
Museo Gucci
“The Language of Flowers”
dal 13 Marzo al 20 Settembre 2015

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